Carissimi amici e devoti di S. Antonio,
Distinte Autorità,
Cittadini tutti,
assieme ai miei confratelli presbiteri e diaconi desidero rivolgere il mio augurio e un breve messaggio che, come di consueto, il Vescovo rivolge alla Città in questo giorno di festa in onore del Santo di Padova, tanto amato in tutto il mondo come pure nella nostra terra.
Desidero quest’anno guardare ad Antonio come testimone di Pace. Lo scenario internazionale è sotto i nostri occhi. Dal Sud Sudan all’Ucraina, dalla Repubblica Democratica del Congo al Myanmar, dalla Palestina a Israele.
Anche Antonio nel suo tempo si è trovato dinanzi a gravi conflitti e si è fatto mediatore e difensore di Pace. Fece così col Conte Ezzelino da Romano lll, tiranno spietato e impavido ma esercitò la sua cura soprattutto dentro le città e le famiglie e specialmente nei casi di frequente violenza domestica, in cui i mariti maltrattavano le mogli, arrivando fino a quelli che oggi definiremmo casi di femminicidio. Dilagava allora la povertà materiale e morale; l’educazione diventava un lusso ma Antonio era convinto che “la prima pace devi averla con il prossimo, la seconda con te stesso, e così avrai anche la terza pace, con Dio nel cielo” (Sermone ottava, n. 7).
Antonio da buon discepolo di Francesco d’Assisi sa che la pace è dono di Dio, frutto della Pasqua ed è il primo saluto del Cristo Risorto nel mattino di Pasqua e in tutti gli incontri pasquali: “Pace a voi”!
Nella nostra Città come in diversi paesi circostanti abbiamo ricordato qualche settimana fa l’ottantesimo anniversario dei bombardamenti che hanno mietuto tante vittime e lacrime. Abbiamo onorato questi nostri concittadini con celebrazioni, riflessioni e tanto altro. Proprio in una di queste ricorrenze, a Borgo (vicino la parrocchia di San Michele Arcangelo) mi ero accostato ad un sopravvissuto per salutarlo e alla mia innocente domanda “Come stai?” quel signore mi ha risposto: “Da quel giorno io ho perso le parole, non so più niente, è stato tutto molto triste”. Le ho portate con me quelle parole, mi hanno rattristato e mi resteranno nel cuore soprattutto pensando a cosa sta accadendo oggi nel mondo. Nel mio cuore di Pastore e di educatore emerge sempre più una domanda: Che mondo stiamo lasciando alle nuove generazioni? Di quale pace vogliamo fare loro dono?
È vero, viviamo un tempo complesso, attraversato da una profonda crisi antropologica, etica, con un visibile disagio individuale accompagnato spesso da mancanza di responsabilità, apatia e indifferenza. Eppure, proprio in questo tempo, ci viene chiesto un sussulto di responsabilità personale e comunitaria.
Non possiamo illuderci di onorare Antonio, discepolo di Francesco, senza avere il desiderio crescente di diventare anche noi strumenti di pace, già nel piccolo, nei rapporti interpersonali, a cominciare dalle nostre case, nei nostri quartieri, nella nostra città, spronandoci a bonificare i linguaggi a tutti i livelli, a non volere trovare sempre e per forza un nemico contro cui scaricare le nostre paure, diventando sempre più costruttori di ponti che di muri…
Le guerre che si stanno combattendo sono una vergogna per tutti quanti. Anche per noi!
E il dramma è che non ci si indigna più, anzi quanto più sono comuni gli interessi tanto più si sta zitti. E c’è pure, ovviamente una spesa che cresce esponenzialmente con la corsa agli armamenti che obbedisce all’economia non della pace ma della guerra: è così che cresce il debito pubblico e si arricchiscono i costruttori di armamenti, uniche realtà che non conoscono crisi! Nel 2023 la spesa militare mondiale ha raggiunto il record storico di 2.443 miliardi di dollari e la spesa militare mondiale cresce del 6,8 per cento. Chissà come sarebbe diversa la realtà se tutti questi denari venissero investiti invece nella creazione di posti di lavoro, per eliminare lo scandalo della fame, in un sistema sanitario più solido, immediato e accessibile a tutti, in un welfare che non lasci nessuno ai margini. Tutto questo sembra che non ci riguardi. Sembra non riguardarci la sorte di questo mondo, che è l’unico da vivere insieme, sentendoci un’unica grande famiglia in cui, come direbbe Papa Francesco “c’è bisogno di Architetti ma pure di Artigiani”. Gli Architetti sono uomini e donne delle diverse istituzioni della società, che a qualunque livello possono dare forma a una nuova progettualità in cui il nuovo nome della pace si coniughi con quello dello sviluppo, della solidarietà, della cura del creato, non dimenticando ciò che è necessario per una vita dignitosa e sicura. Servono gli architetti che nella responsabilità politica e istituzionale prendano delle decisioni eque e giuste per il bene-essere di tutti e di ciascuno. Occorre però che si moltiplichino anche gli Artigiani della pace e in questo compito “artigianale” dobbiamo sentirci TUTTI coinvolti, facendo crescere il senso di comunità, uscendo dal nido del privato, investendo nel dialogo tra le culture, promuovendo alleanze tra le generazioni, mantenendo uno sguardo particolare verso i più fragili e gli impoveriti che corriamo il rischio di rendere invisibili.
Il Signore ti dia pace è il saluto tipico di Francesco che Antonio ha fatto proprio. Sia anche il nostro impegno quotidiano. Solo così renderemo vero onore a S. Antonio. Cominciando da subito. Non possiamo più rimandare questo compito.
A ciascuno dico anch’io: Su di te sia Pace!
A tutta la nostra Città, ai nostri territori, ai devoti del Santo, ma pensando anche al mondo intero voglio dire ancora: Su di te sia Pace! E soprattutto pensando ai nostri bimbi, alle future generazioni vorrei che questo augurio cominci a diventare realtà con la sana, mite e pacifica complicità di tutti. E sono certo che S. Antonio ci metterà del suo.
Auguri, buona Festa!
Con tanto affetto