Non smentisce l’umiltà che annovera tra le prime qualità di un giornalista Andrea Monda, neo direttore dell’«Osservatore Romano», e come prima cosa ringrazia i giornalisti reatini arrivati a Palazzo Papale per ascoltarlo a ridosso della solennità di San Francesco di Sales.
Un incontro pregno di contenuti dal quale è emerso più volte il suo animo da professore, lavoro svolto per circa diciotto anni prima di essere chiamato da papa Francesco a dirigere il quotidiano della Santa Sede. Monda ha rimarcato più volte l’importanza degli insegnanti, «è un mestiere preziosissimo in un’epoca come la nostra, il rapporto tra le generazioni è oggi più che mai fondamentale». Nonostante il prestigioso incarico ricevuto, il direttore di uno dei quotidiani più autorevoli del mondo non si definisce esperto di comunicazione: «è un’epoca in cui viviamo quasi la dittatura degli esperti», bensì piuttosto un artigiano della comunicazione, o più semplicemente un uomo che si è messo in gioco lasciando «il certo per l’incerto» pur di seguire le proprie passioni, come la teologia o l’insegnamento.
«Un comunicatore deve raccontare una storia, ma soprattutto deve vivere di relazioni riscoprendo la dimensione umana senza fare scarni bollettini e lasciarci appiattire dalla cronaca. E soprattutto occorre demolire prima di costruire». Preparare il terreno, in breve, e sgomberare il luogo dove si vuole erigere qualcosa da ruderi, ostacoli o impedimenti, come schemi mentali e pregiudizi, o nel caso della comunicazione religiosa immagini di Dio che sono in realtà solo nostre idee sovente deviate da tanti fattori. Invece, «per dialogare occorre arrivare disarmati, dunque disarmanti, altrimenti il dialogo non nascerà mai, e questo è uno dei punti comunicativi fondamentali promossi di papa Francesco». Andrea Monda spiega come dopo la nomina si sia messo a studiare in maniera approfondita i testi del Pontefice, a partire dai discorsi di Bergoglio pronunciati quando era arcivescovo di Buenos Aires: «chi fa un lavoro delicato come il mio deve essere un po’ interprete del pontificato, non può prescindere dal conoscerlo bene».
Papa Francesco il comunicatore, ma comunicatore in un modo molto diverso dai suoi predecessori, in un modo che Monda definisce “tattile”: «La gente arrivava in piazza San Pietro per vedere Giovanni Paolo II, era bello per gli occhi, per Benedetto XI invece arrivavano per ascoltare e apprendere la raffinatezza del suo pensiero, da Francesco oggi arrivano per toccare, perché lui tocca e si fa toccare il cuore ma anche la carne, entra in relazione anche fisicamente con le persone: è il Papa del tatto». Un direttore giovane (classe 1966), con varie esperienze lavorative alle spalle, e una personalità trasversale e sfaccettata, curiosa e volta alla continua apertura verso l’altro, verso nuove sfide: «È necessario essere curiosi ed anfibi, vivere in due mondi. Dobbiamo esseri compagni di strada e allo stesso tempo forestieri, se fossimo soltanto forestieri non comunicheremo con nessuno. Umilmente dobbiamo incrociare la vita degli uomini».
L’importanza dell’umiltà sottolineata di nuovo da Monda, umiltà come unico modo per mettersi in relazione nel giusto modo con gli altri: «Nella lingua di oggi, l’inglese, io si scrive I, con la maiuscola. Il punto è tutto lì, l’ego è maiuscolo, dunque l’io è più importate del tu, o del noi: un narcisismo che la rete amplifica ancor di più, per cui il nostro ego diventa così grande che non lascia spazio per gli altri, e inevitabilmente inquina i rapporti».
La ricerca della verità dunque è umile, non può esistere comunicazione senza umiltà, e Monda cita uno dei suoi romanzieri preferiti, il Tolkien de Il Signore degli Anelli con i suoi Hobbit, i cosiddetti mezzi-uomini: «Sono loro gli eroi di Tolkien, eroi molto poco eroici: non super-uomini ma mezzi-uomini, proprio così li chiamano gli altri popoli, gli alteri elfi, uomini e nani che il più delle volte snobbano questi ometti apparentemente così scialbi. Invece gli Hobbit sono umili, non a caso vivono dentro case-buche nel terreno perché essere umile vuol dire avere a che fare con l’humus, la terra: uomini a metà, monchi, perché avvertono che il compimento della vita è oltre la vita e si mettono a servizio di un disegno che li supera, non solo per altezza, affrontando quasi con allegria la vita come fosse un’avventura, un “avvento”». Eppure il mezzo-uomo, a differenza del superuomo di Nietzsche, riesce a vincere battaglie dove grandi uomini vengono sconfitti: «Dunque non è il superuomo non ci salva , ci salva il mezzo-uomo, purtroppo però le persone umili non si trovano, sembra impossibile per l’uomo abbassarsi, chinarsi, ricordarsi da dove viene». Essere umili dunque, ma mai soffocare il caos, l’inquietudine, la sana inquietudine citata e voluta dal Papa: «La comunicazione non deve essere mai la chiusura di un problema, bensì l’apertura verso quel problema. Quando parli con l’altro devi incrociare la tua inquietudine con la sua, non chiuderti in te stesso».
Ed in ultimo, la prossimità: «Il comunicatore come il buon samaritano, che si ferma, accoglie, crea vicinanza con l’altro, senza però avvicinarci agli altri in maniera strumentale». Sempre pronti all’ascolto dunque, all’apertura e al confronto, e perché no anche portatori di quel coraggio e quella sana curiosità che porta a spingersi verso sfide personali e professionali che necessitano di sforzo e fatica: «Il 20 dicembre scorso ero a scuola durante la mia ultima lezione – conclude Monda – il 21 scrivevo il mio primo editoriale come direttore dell’«Osservatore Romano». Se mi sono chiesto se ero in grado di farlo? Beh, in fondo sono l’amministratore del mio condomino, quindi perché no!»